La Chiesa di S. Benedetto Abate

La Chiesa di S. Benedetto Abate

L'esistenza dell'insediamento longobardo può servire a datare la chiesa di S.Benedetto abate recentemente (e malamente) sottoposta a lavori di restauro e consolidamento. Conviene riportare qui quanto il Moretti, all'epoca Soprintendente per i Beni Ambientali, Architettonici, Artistici e Storici per l'Abruzzo e che ha curato il primo restauro, ha scritto sulla Chiesa di S.Benedetto (1): "La chiesa più antica d'Abruzzo, mascherata nel secolo XVIII ed in maniera più ridicola nell'Ottocento, per raggiungere il massimo della decadenza nel corso degli ultimi anni per un malinteso senso del decoro, è stata casualmente riscoperta recentemente in tutto il fascino della sua rara autentica vetustà. Le fotografie .... sono lo specchio fedele di una situazione che non faceva presumere l'esistenza di un edificio altomedioevale, potendosi datare sicuramente al IX secolo (2) la struttura originaria. L'illustrazione ........mostra la facciata all'inizio dei lavori di restauro, quando era già stata liberata da una capanna avente funzione di sacrestia, così ingombrante da non permettere significative riprese fotografiche. In questa fase è già visibile il motivo preromanico del loggiato pensile e quello, ben più arcaico, quasi sconosciuto, perché derivante dal tardo antico, del portale. La foto mostra lo stato dell'interno prima dell'inizio delle opere di ripristino. L'orientamento della chiesa risulta invertito. Non è visibile l'inizio di una trasformazione "gotica", limitata alle ultime due campate delle navatelle e che l'odierno restauro ha ovviamente conservato trattandosi di una fase significativa, non solo sotto l'aspetto della storia del monumento (3), ma anche per intrinseci valori formali. Il rivestimento barocchetto, estremamente artigianale, presentava spunti che l'avvicinano a quello di S.Silvestro dell'Aquila e pertanto doveva del pari risalire ai primi decenni del sec. XVIII". Sul motivo del loggiato pensile insiste la Terra-Abrami, (4) che pur fra ingenuità, imprecisioni e invenzioni di pura fantasia, tratta della chiesa e del monastero (che non fu mai badia, ma prepositura!). " ...l'interno, liberato dalle incrostazioni barocche....ha ritrovato...nel tetto a capriate, nei pilastri a sezione quadrata (sic!) terminanti in disadorni arcaici capitelli, il severo e semplice ritmo delle sue linee, quell'armonia e chiarezza compositiva che sorge da un ordine segreto. La facciata nella perfetta apparecchiatura dei muri (sic!) richiama strutture che ci riportano al preromanico europeo e trova la sua originalità nel loggiato pensile che non ha riscontro nelle chiese abruzzesi." E in nota mette in risalto come il motivo del loggiato pensile richiami alcune costruzioni di questo periodo in Spagna, come nel palazzetto di Re Ramiro (sec. IX) a S.Maria di Noranco presso Oviedo. E conclude assai acutamente: "...se si considera...che tutta la zona dell'Abruzzo appenninico (dato ormai acquisito alla storia da recenti studi) si mantenne tenacemente legata alla cultura longobarda anche dopo la vittoria dei Franchi, non è difficile identificare l'ambito in cui devono essere inseriti i costruttori della chiesa di S.Benedetto in Perillis..." Esistono poi altri elementi che possono servire a datare la chiesa di S.Benedetto: a) il portale derivante dal tardo antico o forse recuperato da qualche tempio romano della zona, (il colle su cui sorge la chiesa, il Piano di Collepietro o l’Ara Martona). Il materiale di recupero inserito all'angolo sinistro della facciata (ala di genio e capitello corinzio) e il tratto di muro in laterizio in “opus spicatum”sul fianco sinistro fanno ipotizzare nel sito o un luogo di culto della tarda romanità o una chiesa preesistente. (5) Anche la porta laterale di sinistra (la più antica) è realizzata con un arco a tutto sesto, al di fuori dei moduli costruttivi benedettini; b) la cornice ad ovoli e dentelli, di derivazione romana (1), sormontata da una decorazione a due nastri intrecciati, motivo tipico dei sec. VIII-IX (2) e da piccoli rombi nella parte inferiore. La decorazione a nastri intrecciati e il motivo ad ovoli e dentelli è presente in forma più elaborata nella cornice dell'abside di S.Alessandro, (3) nel complesso della Cattedrale di Valva; c) la grande croce greca, (4) formata da tre nastri che si aprono alle estremità a formare volute, scolpita su uno stipite del portale. L'altro stipite è stato ricostruito ex novo perché abbattuto nei rifacimenti successivi. Il frammento di un'altra croce identica, che probabilmente faceva coppia sull'altro stipite, è visibile fra i reperti di risulta esposti dentro la chiesa; (5) d) il loggiato pensile preromanico che sembra riprodurre l'andamento delle campate interne (i fornici esterni più alti di quelli centrali). I due fornici centrali della quadrifora dovevano dare luce alla chiesa, come sembra indicare l'arco interno in corrispondenza, non visto e richiuso nell'opera di restauro. Notevoli sono pure i capitelli e le basi della quadrifora, “...la cui decorazione a nastri e rosette, perfettamente unitaria con quella presente all’interno della chiesa, ripropone una tematica comune ai secoli VIII e IX...” (6) e) il motivo ascensionale che permea tutto l'interno della chiesa. Il I° arco, dalla parte dell'ingresso, si eleva a 5,60 m di altezza. Il II° arco parte da una altezza notevolmente minore: 4,8 m. Gli archi successivi si elevano ad altezza via via crescente fino all'ultimo arco, nel presbiterio, che raggiunge circa l'altezza del I° arco. Il pavimento dalla parte dell'ingresso è in leggera salita fino all'attuale I° scalino. Segue poi una corta zona quasi pianeggiante (7), su cui si eleva il presbiterio fortemente rialzato, anche se il restauro ne ha ribassato la quota di almeno 40 cm, come ben dimostrano le basi delle colonnine delle cappelline gotiche rimaste pensili e una piccola porzione di pavimento originario; f) il pavimento originale della zona centrale pianeggiante, che il restauro ha eliminato tout court (8).

Il pavimento era a piccoli conci rettangolari di pietra calcarea, quasi un opus sectile, dove i conci di calcare avevano la stessa funzione delle piastrelle di marmo (1). La decorazione consisteva in un ornato geometrico di quadrati, entro cui i conci erano disposti lungo assi obliqui a formare un motivo a rombi, inscritti entro uno schema reticolare formato da quattro quadrati. I lati comuni ai quadrati contigui formavano un ornato di croci a bracci uguali. La quota variata, con una alzata in corrispondenza del terzo valico e della porta di accesso alla chiesa dal cortile del monastero, è quasi sicuramente indice della presenza di una iconostasi, a dividere lo spazio riservato ai monaci dallo spazio riservato ai fedeli. gli archi a conci alternati di pietra calcarea e tufo, arcone centrale compreso, in una ricerca di dicromia (1) che anticipa di molti secoli moduli stilistici delle chiese del Duecento-trecento; h) le decorazioni delle cornici delle colonne con piccole croci e fregi di facile geometria, stilizzazione tipica longobarda di motivi bizantini. Non mancano motivi a ferro di cavallo che mostrano influssi arabi. “...di particolare rilievo l’ornato che, come già accennato, risulta unitario con quello del portale e dei capitelli della quadrifora di facciata. Il repertorio decorativo rielabora motivi largamente diffusi in epoca altomedioevale, dai cerchi concentrici di nastro vimineo contenenti rosette, ai fiori quadrilobati, alle semplici palmette stilizzate, incorniciate nei singoli pezzi, da cordoni o elementi viminei...” (2) i) le capriate in legno di quercia rozzamente scolpite, che i due restauri hanno praticamente distrutto (per fortuna rimangono ancora due o tre esemplari di elementi reticolari) sostituendole con capriate in abete, anonime e sicuramente molto meno resistenti; l) sull'angolo di sinistra rimasto intatto e nella metà sinistra della facciata (3) (la parte destra corrispondente è occupata dalla rozza torre non in asse e parzialmente arretrata, costruita probabilmente dopo il crollo di questa parte della chiesa in conseguenza dei forti terremoti che scossero l'Abruzzo nel Trecento e nel Quattrocento) sono visibili due capitelli circa alla stessa quota, destinati forse a reggere la travatura a capriate di un portico. L'ipotesi è rafforzata dal fatto che l'apparecchio in pietra a conci regolari inizia al livello dei capitelli e la sottostante muratura è a pietrame informe, quasi che questa fascia non fosse a vista perché ricoperta di stucchi, cosa che ben si concilia con la parete di fondo del portico in genere ricoperta da pitture; m) le monofore di sinistra della nave centrale nella metà superiore sono riquadrate da archetti a ferro di cavallo appena accennato, incassati nello spessore della muraglia di conci regolari; n) il vano sotto il presbiterio, che è apparso pieno di ossa ad un frettoloso tentativo di ricognizione, essendo stato utilizzato fino al 1874 come sepoltura, la "sepoltura innanzi la porta della chiesa" (4) dei registri parrocchiali di morte agli anni 1802-1803 (5). Poteva essere la cripta o un reliquiarium, ma nessuno più potrà verificarlo, visto che è stato letteralmente riempito di cemento nell'ultimo restauro-consolidamento della chiesa, dopo la farsa della ricognizione. In conclusione la struttura paleocristiana, la severa arcaicità delle forme unita ai motivi sopra riportati, la presenza nel territorio di Perello di un insediamento longobardo, portano alla classificazione di una costruzione di tipo longobardo, databile attorno all'ottavo-nono secolo (6). La chiesa si presenta oggi a pianta basilicale a tre navi, senza transetto evidente e mancante delle tre absidi, cadute sicuramente in uno dei terremoti che squassarono l’Abruzzo nel XIV e nel XV secolo. Il ribaltamento dell’orientazione della chiesa, intorno al 1450 ha ulteriormente contribuito alla distruzione dell’abside centrale. Ma la linea delle absidi è chiaramente contrassegnata all’ esterno dalle linee curve del contorno delle absidi a pietra concia e a corsi regolari ricorrenti della zona absidale, che staccano nettamente dalla muratura di chiusura dell’ abside di sinistra e dell’abside di centro realizzata in modo informe, in cui sono inseriti elementi di pietra lavorata di risulta. Ancora meglio si individuano gli archi di attacco delle absidi guardando dall’interno, il grande arco dell’abside centrale a pietra bianca e tufo grigio alternati e il piccolo arco dell’abside di sinistra, sempre a pietra bianca e tufo, della navatella di sinistra. La linea di contorno dell’abside di destra non è individuabile, perché questa parte della zona absidale è stata rinforzata da un contrafforte a scarpa, che prosegue anche su buona parte della parete della navata di destra. Nell’interno non esiste o non è visibile l’arco di attacco dell’abside di questa navatella. Sulla scarpa è stato impostato intorno al settecento un campanile a vela in pietra concia a tre fornici di luce diversa, due più grandi in basso e un piccolo fornice in alto, alla rastremazione del campanile. Sulla scarpa absidale, a metà altezza circa, è inserita una scultura del bestiario medioevale rappresentante un gatto a due teste, (il bigatto simbolo del dualismo bene-male che ben si adatta a Satana come Lucifero, angelo del bene diventato l’essenza del male). Per alcuni il gatto a due teste sarebbe la prova evidente della presenza nel monastero dei Templari. Pare infatti che nel processo loro intentato da Filippo il Bello, che portò alla soppressione dell’ordine e alla carcerazione ed eliminazione fisica dei cavalieri templari, una delle accuse infamanti loro rivolte fosse che adorassero Satana, rappresentato forse come un gatto a due teste. Sullo spigolo invece è inserito un leone che sporge per la metà anteriore e volge a sinistra di chi guarda. Probabilmente sono solo due delle sculture che adornavano le absidi e che forse in origine erano in relazione fisica fra di loro, sotto il bigatto e sopra il leone che lo sovrasta e lo guarda minaccioso, se il leone viene interpretato come Cristo (il leone di Giuda) e il bigatto come Satana. La lunghezza della chiesa è di 27-28 m circa muro-muro (escluse le absidi) e la larghezza totale è di 13,5-14 m. Lo spessore delle muraglie è 1 m. La pianta (e la disposizione) della chiesa è leggermente fuori asse, per cui ne viene fuori un rettangolo asimmetrico essendo il lato di sinistra lungo 27 m e il lato di destra lungo 28 m, il lato corto verso le absidi largo 13,5 m e il lato corto verso l’ingresso 14 m. La linea delle colonne rastrema quasi impercettibilmente verso il presbiterio e l’abside centrale, passando da una larghezza di 5,60 m (lo spazio calpestabile tra le due fila di colonne) a 5,20 m della luce dell’abside centrale, come in una ricerca prospettica. La pianta interna a lati non perfettamente paralleli può essere indizio di limitate capacità costruttive, ma la rastremazione verso il fondo “...mostra la volontà dell’ esecutore di dare la sensazione ai fedeli di avvicinarsi a Dio... con un punto focale valorizzato dalla prospettiva centrale dove l’Eterno viene rappresentato faro di luce; (1)...come analogamente il pavimento è stato costruito con lieve pendenza in modo da dare la sensazione dell’ascesa verso il Signore. Analogamente, come in quasi tutte le chiese di quel periodo, la presenza di in gradino intermedio e di una breve gradinata di ascesa al ciborio acuiva l’ascesa a Dio sotto forma di prospettiva orizzontale...” (1) La navata centrale è larga circa 5,40 m e le navatelle laterali circa 2,3-2,40 m ciascuna. Tutte le chiese a pianta basilicale dell’alto medioevo e dell’ undicesimo-dodicesimo secolo, (ad es. in zona S.Pietro ad Oratorium con le stesse dimensioni e S.Maria Assunta di Bominaco leggermente più grande), rispettano di norma la proporzione che la lunghezza è all’incirca due volte la larghezza e la larghezza della nave centrale è circa doppia della larghezza delle navatelle laterali.( Le proporzioni sono notevolmente più rispettate se si considera anche la dimensione delle colonne, di circa 70 cm di diametro. In questo caso la larghezza della nave centrale, misurata tra i centri delle colonne sarebbe 6,1 m (5,40 + 0,35 + 0,35) e la larghezza delle navatelle sarebbe 2,75 m (2,40 + 0,35) I semipilastri di fondo addossati alle pareti sono larghi quanto il diametro delle colonne, che in numero di sei per lato scandiscono lo spazio interno, determinando così sette archi di luce diversa. La luce del I° arco (a sinistra per chi entra; l’altro arco è murato e se ne intravede la linea di metà arco dai conci del muro nella parete di destra della torre) è di 3,60 m rispetto al valore medio di 2,80 m degli archi successivi e si riduce a 2,50 m per l’ultimo arco. Le colonne hanno diametro diverso, da 70 cm a 80 cm. L’ultima colonna di sinistra verso il presbiterio (il semipilastro corrispondente è largo 80 cm) ha un diametro di 90 cm, quasi dovesse sopportare un maggior carico statico (presenza di un transetto mai costruito? presenza di un campanile a torre in origine?). La colonna dall’altro lato è larga 80 cm (2). Le colonne sono leggermente rastremate verso l’alto e poggiano su rozze e basse basi rettangolari, fuorché le ultime due colonne del presbiterio che sono senza basi, ma ciò potrebbe essere dovuto al ribassamento del pavimento in occasione del ribaltamento della orientazione della chiesa, che ha distrutto le basi. L’altezza della luce dell’ultimo arco è di soli 4,20 m, che si riduce a 3,80 m rispetto alla quota del pavimento originario, indicato dalla quota delle basi delle colonne delle due cappelline, se il pavimento non fosse stato ribassato arbitrariamente nell’ultimo restauro Il ciborio, se mai c’è stato, è indiziato da una base ad unghioni, da una colonnina ottogonale, annegata al momento nel pozzo del cortile del monastero richiuso da anni e da alcuni elementi della decorazione conservati tra gli elementi erratici di risulta nella navata di destra. Il primo grande arco di destra si intravede mutilo nei suoi conci di tufo, annegato dentro la muratura continua, a partire dal semipilastro addossato alla parte di fondo. Della prima colonna, annegata completamente nella muratura informe, si intravede appena il suo lastrone di copertura a filo di muro. Sul muro resti di affreschi quattrocenteschi bucherellati e scialbati dalla mazza del muratore per far aderire una ulteriore mano di intonaco. Sulla luce dell’arco richiuso imposta una rozza torre troncata in epoca recente, fuori squadra rispetto alla linea della facciata di cui invade praticamente la porzione della navatella di sinistra. Dovrebbe essere la porzione della chiesa caduta a seguito di qualche grande terremoto del trecento-quattrocento e ricostruita in maniera scorretta, eliminando il tufo ed usando per gli archi solo conci di calcare, almeno fino alla penultima colonna, il cui arco conserva ancora la struttura a conci di calcare e di tufo, segno che la parte verso il presbiterio non era caduta perché rafforzata dalla cappellina gotica trecentesca. Sia i piani alti della torre, sia il piano alla quota della chiesa, adibito a cantina, sono da tempo proprietà privata. E' da ritenere presumibilmente che la chiesa sia preesistente al monastero e che questo sia sorto in seguito inglobandola nel suo perimetro. E altresì plausibile, anche se non facilmente dimostrabile, che un insediamento si disponesse attorno alla chiesa, nel versante che guarda la gola di Tremonti e la Valle Peligna per motivi di ordine strategico, come si può ipotizzare pure per la chiesa. Un indizio, per quanto labile, può essere rappresentato da un medaglione longobardo o goto (?) trovato in una tomba attorno alla chiesa . Si possono tentare ipotesi sul perché della costruzione della chiesa e anche sul periodo. Bisogna premettere che è non è realistico pensare ad una chiesa così grande che viene costruita su un cocuzzolo, isolata dal contesto abitativo e fine a sé stessa. Certo non era nella spirito dell'epoca. Una chiesa all'epoca viene costruita non solo per i bisogni spirituali, ma anche e soprattutto per fini economici, civili o strategici del contesto territoriale. Va da sé che una comunità di persone si può raccogliere liberamente attorno alla chiesa, attratta dalla sicurezza o da vantaggi di ordine economico e/o religioso, ma nel contesto economico e sociale feudale accade più frequentemente che un certo numero di persone vengano forzosamente legate alla chiesa da vincoli di servitù feudali. La motivazione strategica sembra essere alla base della fondazione della chiesa e dell'abitato. C'è da chiedersi infatti quale potesse essere per i longobardi, ed in particolare per quelli del ducato di Spoleto, l'utilità pratica di costruire una chiesa in quella posizione ed in quel sito. La spiegazione potrebbe risiedere nella posizione del luogo, che per questa zona dell'Abruzzo interno è uno dei pochi luoghi da cui si può guardare il mare attraverso il valico di Tremonti. Si noti che esistono posti più comodi e adatti per costruire una chiesa o un insediamento. Vi è la zona di S.Croce, pianeggiante, sede già di un insediamento che si protrae dall'età del ferro fino al I° secolo a.C., che guarda e domina la Valle Peligna. Dall'altra parte vi è la zona di Case Murate che guarda e domina il lembo estremo dell'altopiano di Navelli. Ma il cocuzzolo, su cui viene costruita la chiesa (forse su un nucleo abitativo), è il sito che guarda esattamente alla Valle del Pescara tramite il valico di Tremonti, stretta valle profondamente incisa o piuttosto un taglio prodotto dall'Aterno-Pescara nello sbarramento dei monti che chiudono la valle del Tirino e la Valle Peligna. L'intenzionalità strategica sembra chiara. La chiesa e/o l'abitato hanno funzione di raccordo fra la Valle del Pescara, il mare e la zona delle valli dell'Abruzzo interno. Sono cioè un fondamentale capomaglia ottico, che riceve e ritrasmette a vista fra il mare e l'interno e viceversa. La chiesa e/o l'abitato sono a vista e dominano il versante interno del Morrone e tutta la Valle Peligna e quindi la zona di Popoli (col monte Somma) all'imbocco della Valle del Pescara, la cui importanza strategica per sbarrare la strada ad eventuali invasori è più che evidente. Sono inoltre a vista di Valva, sede del vescovato, di Sulmona, di Pacentro, della valle che porta all'altopiano delle Cinque Miglia e dei primi monti dell'altopiano (altra via strategica di penetrazione in Abruzzo dal Tirreno). Sono a vista del territorio su cui sorge Collepietro, da cui si domina e si può ritrasmettere agli insediamenti della Valle Tritana e di Navelli (da Navelli si può ritrasmettere a Civita Retenga e da lì a Bominaco da cui si domina la parte mediana dell'altopiano di Navelli e anche la Valle dell'Aterno) e degli insediamenti sulle pendici del Gran Sasso, gli odierni territori di Calascio, Rocca Calascio, Castel del Monte, Villa S.Lucia. I "cenni di castella" per dirla con Dante ed i fuochi accesi nella notte portano notizie e parlano soprattutto un linguaggio militare. E quale poteva essere, in epoca ben più antica, il significato di un recinto fortificato a Mandra Murata, a quota 1200 metri, se non quello di osservatorio sulla Valle del Pescara, la Valle Peligna e la bassa Valle dell'Aterno? (1) Anche se il dominio del Mare Adriatico è ancora bizantino, (2) si fanno sempre più frequenti le scorrerie dei Saraceni, che sono in grado di risalire i fiumi, anche appena navigabili, per fulminee incursioni ed il Pescara è tra questi. Del pericolo che gli Arabi rappresentano sono certo ben consci duchi e re longobardi e certo Liutprando, re dei longobardi, non corre in aiuto di Carlo (Martello) nel 737 (1) contro i saraceni che stanno distruggendo il sud della Francia se non per il preciso disegno politico di fiaccare un nemico comune che non esita a fare puntate terribili anche sulle coste dell'Italia. Di qui la necessità di avere un osservatorio privilegiato sulla Valle del Pescara a salvaguardia dell'Abruzzo interno. Ma forse all'epoca il Pescara costituiva il confine fra il ducato di Spoleto (2) e quello di Benevento. E' probabile allora che, in questa parte dell'Abruzzo, il confine fosse costituito proprio dalle gole di Popoli. Infatti secondo il Lopez, il confine passava "... per il Morrone e la Maiella, i quali nel versante interno furono di Spoleto, in quello rivolto al mare di Benevento..." La chiesa di S.Benedetto e l'abitato sarebbero allora il primo avamposto del ducato di Spoleto a guardia della gola di Popoli e ciò spiegherebbe la scelta del sito e l'antichità della chiesa, specie se si tiene conto che fra i duchi longobardi spesso è solo pace guerreggiata. La situazione è complicata poi dalle aspirazioni all'indipendenza di questi ducati longobardi del sud e i re longobardi, in particolare Liutprando (3) e Desiderio fanno spesso puntate al sud per recuperare al trono i due ducati, vincendo e deponendo i duchi ribelli. E i ducati di Benevento e di Spoleto, seppure nominalmente vassalli di Carlo Magno, continuano ad esistere anche dopo il 774, anno della caduta del regno longobardo. Ben poco si può dire sul momento della costruzione della chiesa. Se si vuole dare per costruita al 787, anno del primo documento in cui si nomina Perello è da presupporre che sia stata costruita in epoca comune a S.Pietro ad Oratorium, per munificenza o più propriamente per calcolo politicomilitare di duchi o re longobardi, come ipotizzato. Per S.Pietro ad Oratorium si fa il nome di re Desiderio, come scritto sull'architrave del portale della chiesa trecento anni dopo, (4) a conservare un ricordo di una elargizione o di una munificenza di un tempo lontano. Forse il nome di Desiderio è da associare all'aura di leggenda che accompagna questo sfortunato ultimo re longobardo, ultimo rappresentante di un mondo distrutto formalmente, anche se continua a vivere ancora longobardo per cultura e tradizione per secoli. Con Desiderio finisce un'epoca; da ora in avanti sarà l'epoca di Carlo Magno e col suo nome saranno notate le chiese: "...a rege Carolo fundata..." si scriverà da ora in poi (5). D'altra parte Desiderio era famoso per avere costruito, insieme alla regina Ansa, chiese e ospizi per i poveri (1) e a Brescia il monastero di S.Salvatore, di cui prima badessa è la figlia del re Ansperga. Desiderio nel 758-59 occupa il ducato di Spoleto e quello di Benevento, nel quale impone un duca di sua fiducia, il friulano Arichis (Arichis II°) al quale ha appena dato in sposa sua figlia Adelperga. E' questo un periodo di grande fervore religioso e di chiese e monasteri se ne costruiscono un po’ dappertutto. Arichis II°, celebrato da Paolo Diacono per le sue realizzazioni edilizie, (2) fa edificare a Benevento la chiesa di S. Sofia sul modello di quella di Costantinopoli, fatta costruire da Giustiniano. E se anche Arichis II° nello stesso anno della disfatta del regno longobardo (a.774) si propone e si proclama "princeps gentis Langobardorum" il mondo longobardo verrà identificato ormai per sempre in re Desiderio. Rimane un mistero a chi fosse dedicata la chiesa di S.Benedetto in Perello. Anche se oggi viene indicata col titolo di S.Benedetto Abate, non esistono elementi validi per suffragare questo titolo dato in epoca assai recente. Qualche indizio si può cogliere dal "Breve " (Breve recordationis) che nel 1224 fra Pietro, preposito del monastero di S.Benedetto, fa fare a memoria futura delle chiese soggette al monastero obbligate a pagare in certe solennità, cera, pane, vino ed altro (3). Una di queste solennità è quella della "Dedicazione di S.Benedetto", che non coincide con la festa di S.Benedetto, considerata a parte. Come si debba interpretare la dicitura "Dedicazione di S.Benedetto" è terreno di congetture. Sta a significare "Dedicazione della Chiesa di S.Benedetto?" o che la chiesa è dedicata a S.Benedetto? Dal "Breve recordationis" si può solo arguire che tale ricorrenza doveva capitare dopo la festa dell'Assunta, a cui fa sempre seguito nell'elencazione e prima di Natale, forse in autunno avanzato dato che si richiedono prodotti disponibili in quell'epoca, come ad es. un canestro di noci dalla chiesa di S.Maria di Attoia in Popoli e barili di vino da molte altre chiese. Ma questa ormai è storia del monastero e il titolo che la chiesa porta nel 1224 potrebbe essere legato alla fondazione del monastero benedettino.