Telaio
D’inverno fa freddo e i lavori agricoli sono ridotti al minimo. E’ il periodo in cui si vive di più nelle grotte della notte
Le donne tessono, tessono. Solo l’orditura è fatta nelle case, che spesso hanno in un angolo l’orditoio fisso a muro. Si tesse di tutto, cotone, lana, canapa, lino. Il cotone che viene comprato a Popoli o a Sulmona in matasse, con i proventi derivanti da intere mattinate al mercato di Popoli a vendere uova e formaggio, legna e tutto ciò che può essere venduto. Le eccedenze di grano e la vendita di mandorle e noci in autunno, che rappresentano una fonte alternativa ma molto consistente, fanno il resto. Anche tanta canapa e un po’ del costoso lino, più adatto per corredi danarosi, vengono comprati al mercato, ma il lino in matasse di filo già pronto all’uso e la canapa in matasse grezze che richiedono la filatura. Qualcuno prova a seminare il lino per ricavarne fibra, ma la sfibratura non è semplice e il prodotto è grossolano. La lana non si compra, piuttosto se ne vende l’eccedenza. Ogni famiglia ha quel tanto di pecore che forniscono latte (poco), lana e agnelli da vendere se maschi e da allevare se femmine, per sostituire le pecore vecchie che non figliano più. La lana è il prodotto più prezioso della pecora. I velli così come vengono dalla tosatura, vengono lavati più volte, anche se prima della tosatura le pecore sono state portate a fiume e fatte passare più volte nell’acqua bassa per un primo lavaggio del vello. Si procede poi ad una prima pulizia del vello, togliendo frutti spinosi rimasti attaccati, paglia, fili d’erba e grumi di letame e lana cementati assieme. La lana viene poi scardassata, operazione questa che fanno gli scardassieri che in genere passano da paese in paese con lo scardasso e portano la lana alla consistenza di bioccoli, pronti per essere filati. Gli scarti servono per riempire materassi. La lana in bioccoli viene avvolta sulla conocchia e filata. La filatura provoca la torsione delle fibre e ne esce il filo che viene avvolto sul fuso. Dal fuso il filo viene poi trasferito all’aspo e se ne fanno matasse. Anche la canapa viene filata e ne viene fuori un filo più grossolano, ma molto resistente. Lo scarto della filatura della canapa, il capecchio , viene tenuto da parte per avvolgerlo sul perno di chiusura della cannella della botte. La filatura è uno dei compiti più istituzionali della donna (“lanam filavit” dicevano i latini per lodare le virtù della donna moglie e madre) e a veder filare queste vecchie donne si ha quasi l’impressione di una leggerezza sospesa, come quel fuso che gira così velocemente che pare fermo in aria, col filo che quasi non si vede. Le matasse vengono fissate sull’arcolaio e tramite una ruota che fa girare un perno su cui sono bloccate le spagnolette vuote di canna, il filo viene avvolto sulle spagnolette. Se ne avvolgono di due tipi: spagnolette grandi per ordire sull’orditoio e spagnolette piccole che vanno posizionate poi nella spola o navetta a costituire la trama. L’orditura poi è una operazione complessa, demandata a donne particolarmente capaci, soprattutto se bisogna ordire tessuti a più colori e ancora di più le coperte. L’ordito determina la larghezza della tela, la sua consistenza, la lunghezza della tela e le bande di colore. L’unità di misura della larghezza e della lunghezza della tela è il braccio. Il filo ordito viene tagliato in un particolare punto e staccato con estrema attenzione dall’orditoio dalla donna che ha ordito, mentre altre due donne reggono il subbio su cui l’ordito viene avvolto, tramite rotazione del subbio sul proprio asse. Il subbio carico dell’ordito viene portato sul telaio e fissato ai perni. I fili vengono separati ad uno ad uno e fatti passare uno per maglia attraverso una catenella di filo preparata all’uncinetto. Da lì i fili vengono fatti passare alternativamente in due o quattro licci, catenelle di filo tenute tese da stecche di legno disposte superiormente ed inferiormente, tirate verso l’alto e verso il basso da due o quattro pedali, uno per liccio. I licci superiormente sono collegati fra di loro da uno spago che passa nella gola di due carrucole, una per ogni lato, cosicché quando il primo pedale spinge verso il basso (e l’altro pedale è verso l’alto) il primo liccio si abbassa e tira verso il basso metà dei fili e l’altro liccio si alza e tira verso l’alto l’altra metà dei fili. Si apre così un canale fra le due unità di fili. Abbassando il secondo pedale (e il primo pedale è in alto) il secondo liccio si abbassa ed il primo liccio si alza, cosicché i fili si trovano invertiti rispetto a prima. I fili vengono poi fatti passare per il pettine, uno per ogni interstizio dei denti costituiti da lamine di scorza di canna. Il pettine è tenuto in sito dalla cassa battente che col suo movimento muove il pettine per dare il giusto compattamento alla tela. I fili vengono poi avvolti e bloccati sul subbio anteriore, che può essere ruotato con una leva ad elle, il tendisubbio che si infila nei fori del subbio (due fori posti perpendicolarmente fra di loro) in modo da portare il filo alla giusta tensione. Il tendisubbio è bloccabile tramite una spadella di legno che passa entro il tendisubbio, forata lungo l’asse in modo da potervi inserire un perno bloccante. La donna al telaio lancia con la sinistra la spoletta (da sinistra a destra) nel canale formato dalle due metà dei fili e la raccoglie con la destra. Con le due mani, senza lasciare la spoletta, la tessitrice tira a sé la cassa battente con forza per compattare la tela. Immediatamente poi preme l’altro pedale, cosicché le due metà dei fili si invertono, ricostituendo il canale per la spoletta. La spoletta viene lanciata adesso da destra e raccolta con la sinistra e la cassa battente viene tirata per compattare la tela. Quando si è tessuto un buon palmo di tela e il canale per la spoletta comincia a diventare stretto, si toglie il fermo dalla spadella, il tendisubbio viene allentato e sfilato e il subbio portafilo viene anche esso liberato dal fermo. Il subbio portatela viene ruotato in modo da avvolgerci sopra la tela tessuta. Si blocca poi il subbio portafilo con il suo lungo perno manovrabile direttamente dalla tessitrice, i fili vengono di nuovo tesi con il tendisubbio e si blocca il tutto con la spadella e il perno. In 14-18 ore di lavoro al telaio, due esperte tessitrici, dandosi il cambio per espletare le normali faccende di casa, riescono a tessere nove braccia di tela, ossia un lenzuolo. Un lenzuolo è costituito da tre teli, di tre braccia di lunghezza, cuciti assieme. “ ...S.Benedetto in Perillis (1) presenta sul piano della tessitura, una singolare documentazione, potendo offrire allo studioso sia l’oggetto documentato sia la memoria del documento che la realtà sociale, documento ancora vivo e reale, palpabile vorremmo dire e così emotivamente toccante da lasciare in noi la sensazione di esserci affacciati ad un mondo a misura d’uomo... E non è un mondo estraneo alle miserie umane, ma qui ogni cosa ha il suo nome chiaro, preciso, con quella stessa chiarezza di termini che distingue tutte le cose della vita, in una essenzialità di espressione che colpisce e che vediamo riflettersi anche su quanto riguarda più particolarmente l’oggetto della nostra ricerca: il mondo del telaio e dei tessuti. Nomi non derivati dalla tecnica o dai materiali impiegati, ma determinati dall’uso a cui il tessuto era destinato, contraddistinguono tutta la produzione tessile locale: si parlerà quindi di “tovaglia” per indicare una bella tela di lino con motivi a punta di diamante, di “materasso” per una diagonale quadrettato bianco e blu, di “saccone” per una diagonale di canapa vergata in bianco e blu, che trova un perfetto singolare riscontro con la scarna decorazione delle antiche ceramiche locali, mentre il “mantello” sarà un panno di lana nera, di fattura locale, ma cardato e feltrato, “valcato” altrove. Ma dove e come veniva sopperito a questa esigenza della vita comunitaria? Ancora una volta in quei centri di corale convivenza di vita paesana, nelle cosiddette “grotte”. Anche il telaio veniva ad essere quindi un dato comune all’esistenza di questa comunità, con l’avvicendarsi delle donne al lavoro; una comunità che rispecchia la sua mentalità persino nelle serrature di legno, evidente protezione da animali e forze della natura, ma non dall’altro uomo; non a difesa dal proprio simile quindi, con tutti i presupposti che questa osservazione comporta. Di questi telai ci resta per fortuna un esemplare, quello qui illustrato. Anche se si sa costruito nel 1935 (2), dato che conosciamo assai bene l’autore Pasquale Gualtieri, è veramente, come spesso accade per strumenti di lavoro del mondo popolare, un oggetto senza tempo; le sue linee si rifanno ad una tradizione millenaria, il legno stesso di cui è costituito, ed in particolare le grandi travi portanti, sono la riutilizzazione di travi recuperate da un edificio demolito. Le basi costituite da elementi a due piedi sono simili ai panchetti da mungitore, mentre la tipologia è delle più semplici ed essenziali; assai simili i più vecchi telai sardi tradizionali... D’altra parte, telai come quello di S.Benedetto in Perillis potevano esser usati sia per tessere lana che per lino, canapa e cotone, con una discreta varietà nella Fig. 4 Pianta particolareggiata della grotta del parlamento (la rótte Zupéune) che mostra il sito dei telai. produzione, come meglio chiarirà l’analisi che di questa produzione ci accingiamo a fare, basandoci su quanto abbiamo potuto rintracciare ancora esistente in posto, patrimonio ancora vivo e in uso nelle famiglie...
(1) L. PORTOGHESI, Il telaio e la tessitura, in V.BATTISTA, L.NANNI, La cultura degli oggetti, Collana di studi abruzzesi, Consiglio Regionale dell’Abruzzo, Stabilimento Litotipografico Gran Sasso, L’Aquila 1984, pp. 29-38 (2) Nel testo 1925, ma si tratta di un errore, essendo il Gualtieri nato nel 1911.